Linda mi scrive: La sera che inizia quando arrivi al bancone, uno - due - tre cuba. Perchè tanto il primo neanche lo senti, il secondo scende e non te ne accorgi, il terzo ha sempre lo stesso sapore. E poi qualcosa scatta: hai imparato a riconoscere il momento preciso in cui l’interruttore si accende. Potresti anche controllarlo, ma non lo fai mai. E alla fine non sai nemmeno più come ti chiami. Non lo vuoi sapere, hai fatto di tutto per dimenticarlo. Per ritrovarti tra due mani sconosciute che ti amano come vorresti. Ma non lasciano nulla, l’odore di un altro che non resta con te, ma che non dà e non chiede e rende tutto più facile.
Se solo non ci fosse il mattino. E l’altra te che ti guarda allo specchio e ti odia perchè è lei che deve vivere la tua vita normale: la corsa in ufficio, le riunioni, le responsabilità. Quella che gli altri credono che tu sia, quella che tu ogni tanto vorresti essere.
Perchè ci "stampiamo", chi dopo una settimana di lavoro vuole dimenticarsi di sè stesso, degli impegni in agenda, di riferire a qualcuno, i ragazzi che senza apparenti problemi, se non la smania di apparire, esagerano senza conoscere il limite.
Perchè per divertirci dobbiamo andare necessariamente "oltre"?